Carcere e lavoro: come le cooperative sociali cambiano le regole del gioco

Carcere e lavoro: come le cooperative sociali cambiano le regole del gioco

venerdì 25 luglio 2025

Intervista a Stefano Granata, Presidente di Confcooperative Federsolidarietà

Carcere e lavoro: come le cooperative sociali cambiano le regole del gioco

Presidnete Granata, 189 cooperative, 11.500 posti di lavoro, 430 milioni di fatturato. I numeri della filiera giustizia di Confcooperative Federsolidarietà dimostrano che il modello funziona. Ma perché proprio le cooperative sociali riescono dove altri falliscono?

Perché uniamo efficienza a solidarietà. Le cooperative sociali sono radicate nel territorio, conoscono i bisogni reali e lavorano in sinergia con istituzioni e imprese. Non siamo assistenzialisti: creiamo lavoro vero. La legge Smuraglia ci aiuta, ma è l'esperienza pluridecennale a fare la differenza. Il lavoro non è un premio, è l'unica alternativa alla recidiva. Noi lo creiamo ogni giorno.

Detenuti che lavorano, ex detenuti assunti, migliaia di persone reinserite. Non sembra troppo bello per essere vero?

È il nostro quotidiano, basato su un sistema serio. Abbiamo cooperative specializzate: tipo B per il lavoro, tipo A per servizi residenziali e riabilitazione. E cinque consorzi che fanno rete. Il segreto? Non abbandoniamo le persone dopo la scarcerazione. Oltre 3.000 ex detenuti restano con noi. La cooperazione sociale è un importante fattore di congiunzione, un ponte tra il carcere e la società per una vera riabilitazione sociale.

Le aziende come rispondo?

Stiamo costruendo un ponte concreto. Stiamo lavorando ad una piattaforma per profilare le competenze, offrire una rete di servizi per collegare le carceri alle imprese. Già oggi molte aziende collaborano, ma serve una regia nazionale. Il nostro CCNL della cooperazione sociale è il settimo in Italia per numero di lavoratori a cui viene applicato: questo dimostra che il modello funziona.

Salute mentale e dipendenze. Il reinserimento dei detenuti funziona anche nelle situazioni più difficili?

Sì, i dati ci danno ragione. Oltre 4.000 persone, in particolare con problemi di salute mentale o di dipendenza, usufruiscono dei nostri servizi residenziali. Non facciamo miracoli, ma offriamo percorsi personalizzati. Una cella costa 270 euro al giorno. Percorsi di formazione molto meno. E così lo Stato risparmia, le persone si riabilitano, la società nel complesso ci guadagna.

La vostra ricetta per il futuro in tre punti?

Più formazione dentro le carceri. Case di accoglienza per chi ha la possibilità di usufruire dei benefici delle misure alternative che siano palestre di autonomia. Un'alleanza con le imprese che guardi al dopo-carcere. La giustizia si fa insieme: Stato, terzo settore e privati. Così si spezza il circolo vizioso.

  Alessandra Fabri

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