Confcooperative Sanità scrive al Ministro Schillaci per chiedere di non trasformare i medici di famiglia in dipendenti del SSN. “Con questa riforma si mette a rischio l’assistenza sanitaria soprattutto nelle aree interne e collinari, con un aumento stimato della spesa pubblica. Non è questa la strada giusta per rendere più efficiente la medicina generale. Sì invece a forme di aggregazione per migliorare il servizio” Così Giuseppe Milanese presidente Confcooperative Sanità sulla riforma del sistema sanitario nazionale e su un possibile diverso inquadramento dei medici di famiglia. Secondo Confcooperative Sanità a rischio di chiusura anche importanti esperienze di imprenditorialità sociale guidate dal principio della sussidiarietà che in questi anni, grazie a medici di famiglia liberi professionisti convenzionati, ma anche a farmacisti, infermieri ed operatori sociosanitari, sono state un supporto fondamentale soprattutto per le persone più fragili e gli anziani, anche nelle aree più periferiche del paese. A rischio licenziamento tutti gli attuali oltre 5000 occupati nelle società cooperative, numero che si triplica, se si considerano anche quelli assunti direttamente dai medici o da altri tipi di loro società di servizio. “Dobbiamo invece valorizzare il modello cooperativo in un’ottica di riforma della medicina generale e delle cure sul territorio. Dal 1994, le cooperative mediche, senza fine di lucro e senza sostituirsi al ruolo del medico, hanno permesso alla medicina generale di strutturarsi, informatizzarsi, adottare linee guida comuni e ad evolvere verso forme associative di rete e medicine di gruppo con personale di studio segretariale ed infermieristico. Le 150 cooperative attive su tutto il territorio nazionale, che contano quasi 9000 medici di medicina generale, il 20% del totale nazionale, danno lavoro a 5000 occupati, generano un fatturato di 180 mln di euro e impattano direttamente su 7 milioni di cittadini”, conclude il presidente Milanese.
Alessandra Fabri