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Esperto cooperativo: le cooperative agricole, tra ristorni, conferimenti e servizi ai soci

mercoledì 2 ottobre 2024

Esperto cooperativo: le cooperative agricole, tra ristorni, conferimenti e servizi ai soci

 

L’imprenditore agricolo è così definito dall’articolo 2135 de codice civile, come modificato dal comma uno dell’articolo 1 del D.Lgs. 18/05/2001, n. 228 – Orientamento e Modernizzazione del settore agricolo:

“È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, allevamento di animali e attività connesse.

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.”

Il secondo comma del medesimo articolo uno del D.Lgs. 228/2001 estende la qualificazione di imprenditore agricolo anche alle cooperative prevedendo che “Si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135, terzo comma del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”.

In pratica quindi le cooperative agricole sono considerate imprenditori agricoli, o più propriamente società agricole, se operano in una delle seguenti categorie:

  1. cooperative che assumono direttamente la qualifica di imprenditori agricoli e che quindi operano direttamente nell’esercizio delle attività agricole primarie della coltivazione del fondo, della silvicoltura e dell’allevamento di animali;
  2. cooperative destinate a gestire direttamente fasi della produzione e commercializzazione dei prodotti conferiti dai soci anche previa manipolazione, conservazione, trasformazione e valorizzazione degli stessi;
  3. cooperative operanti come imprese di utenza che forniscono beni e servizi ai soci che svolgono la vera e propria attività agricola.

L’albo delle società cooperative, istituito con Decreto del Ministero delle Attività Produttive (ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy) del 23/06/2004 propone una ripartizione in due sole tipologie che valorizzano lo scambio mutualistico in funzione dell’attività svolta prevedendo, da una parte, le cooperative di lavoro agricolo e, dall’altra, quelle di conferimento di prodotti agricoli e di allevamento. La Circolare del medesimo Ministero del 06/12/2004 precisa che nelle cooperative di conferimento vengono ricomprese anche le cooperative agricole di servizi ai soci in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs n. 99/2004.

In questa sede esamineremo il caso delle cooperative che raccolgono, manipolano, lavorano, conservano, trasformano, valorizzano e commercializzano i prodotti agricoli conferiti dai soci, nonché quelle che erogano servizi e di prodotti utili all’agricoltura ai medesimi soci. E’ opportuno ricordare qualora la cooperativa intenda svolgere ambedue le funzione (conferimento di prodotti agricoli da parte dei soci e fornitura di beni o servizi agli stessi) occorre prevedere il doppio scopo mutualistico ed aggiungere in statuto le relative clausole. Sono al di fuori di questa ipotesi quei servizi che sono inerenti l’attività di raccolta e lavorazione dei prodotti quali, ad esempio, l’assistenza tecnica fornita a tutti i soci produttori da tecnici della Cooperativa finalizzata al miglioramento delle produzioni e che non sia pagata dai singoli soci.

In generale, la qualifica di imprenditore agricolo dipende dallo svolgimento di una delle attività previste dall’articolo 2135 del codice civile e cioè: la coltivazione del fondo, la selvicoltura oppure l’allevamento di animali. Colui che, in virtù dell’esercizio di una delle suddette attività, si qualifica come imprenditore agricolo, non perde tale qualifica svolgendo ulteriori e distinte attività (diverse da quelle indicate nell’articolo 2135 c.c.), purché tali ulteriori attività siano “connesse” alle prime (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento animali). Sono attività connesse la “manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali”: tali attività conservano il carattere di agrarietà se svolte da chi è già imprenditore agricolo e hanno ad oggetto prodotti provenienti prevalentemente dall’attività produttiva agricola. Sono altresì connesse le attività “dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”. Sono infine connesse tutte quelle altre attività, non tipizzate dalla norma, svolte dall’imprenditore agricolo (da colui, cioè, che esercita la coltivazione del fondo, la selvicoltura o l’allevamento di animali) e riguardanti la sua azienda agricola. “Le tante attività connesse elencate nell’articolo 2135 c.c. hanno lo scopo di valorizzare la trasformazione operata sui prodotti agricoli e l’approccio al mercato da parte dell’agricoltore. Quanto al criterio per individuare l’agrarietà di queste attività, esso è quello della prevalenza, sicchè le attività connesse restano agricole se si riferiscono a beni ottenuti nella loro maggior parte dall’attività produttiva agricola” (L. Costato, Corso di diritto agrario italiano e comunitario, Milano 2008).

Alla luce di quanto sopra, risulta evidente che l’articolo 1 del D.Lgs. n. 228 del 2001 ha introdotto per le cooperative una equiparazione ex lege all’imprenditore agricolo. Lo svolgimento di attività connesse, infatti, non preclude l’attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo solo nel caso sia riferito a soggetto già qualificato imprenditore agricolo (in virtù dell’esercizio di coltivazione del fondo, selvicoltura o allevamento di animali). L’applicazione di tale regola alle cooperative che svolgono in via esclusiva attività connesse avrebbe, di fatto, impedito l’attribuzione alle stesse della qualifica di imprenditore agricolo (in quanto l’attività agricola di coltivazione del fondo, selvicoltura o allevamento di animali è svolta direttamente ed esclusivamente dai soci).

Dalla qualifica di imprenditore agricolo va distinto il riconoscimento di ulteriori qualifiche rilevanti per l’accesso a specifici benefici: si cita in particolare il riconoscimento quale Imprenditore agricolo professionale I.A.P. (D. Lgs. n. 99 del 2004)  o il riconoscimento quale Organizzazione di produttori (D. Lgs n. 102 del 2005). Nonostante l’ordinamento, soprattutto a seguito di evoluzioni sollecitate dalla normativa comunitaria, abbia introdotto differenti figure di imprenditore agricolo sulla base di specifici requisiti soggettivi, la definizione di attività imprenditoriale agricola rimane unitaria e definita, in generale, dall’articolo 2135 c.c. ed, in particolare per le cooperative, dall’articolo 1 del D.Lgs. n. 228 del 2001. Ben può essere, di conseguenza, che la cooperativa agricola rinunci alla qualifica, per esempio, di Imprenditore agricolo professionale o di organizzazione di produttori, senza, per questo, perdere la qualifica di imprenditore agricolo. Si segnala che la qualifica di I.A.P. potrebbe richiedere alla Cooperativa l’esercizio “esclusivo” di attività agricola con conseguente necessità di eliminare dall’oggetto sociale ogni riferimento ad attività “diverse” da quella propriamente agricola anche se richiamate solo in via strumentale e funzionale allo svolgimento della stessa.

La Legge 03/10/2001, n. 366 – Delega al Governo per la riforma del diritto societario –propone le basi normative necessarie al funzionamento dell’impresa cooperativa, priva d’intenti speculativi, prevedendone “la propria attività prevalentemente in favore dei soci”, con cui assicura “il perseguimento dello scopo mutualistico”.

Il secondo comma dell’articolo 111-septies delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, prevedendo che “le cooperative agricole che esercitano le attività di cui all'articolo 2135 del codice sono considerate cooperative a mutualità prevalente se soddisfano le condizioni di cui al terzo comma dell'articolo 2513 del codice” si riferisce anche alle cooperative che provvedono alla manipolazione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti prevalentemente da imprenditori agricoli associati ed a quelle che forniscono prodotti e/o servizi utili alle aziende agricole dei propri soci.

La lettera c) del primo comma dell’articolo 2513 del codice civile dispone che la cooperativa è a mutualità prevalente se “il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci è rispettivamente superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi di cui all’articolo 2425, primo comma, punto B7, ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite, di cui all’articolo 2425, primo comma, punto B6.”

Il terzo comma del medesimo articolo 2513 afferma che “Nelle cooperative agricole la condizione di prevalenza sussiste quando la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti”.

Quindi le cooperative che esercitano l’attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti conferiti prevalentemente dai soci sono a mutualità prevalente quando il rapporto tra le quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della somma dei prodotti conferiti dai soci e acquistati da terzi.

Poiché l’opzione tra quantità e valore è alternativa, le cooperative potranno scegliere di utilizzare quella più favorevole.

E’ appena il caso di ricordare che se la cooperativa esercita un doppio scambio mutualistico, ad esempio lavorazione prodotti conferiti prevalentemente dai soci e fornitura di prodotti o servizi prevalentemente a favore degli stessi soci dovrà necessariamente utilizzare il criterio del valore dei prodotti conferiti in quanto non si può fare la media ponderata fra fattori tra loro non omogenei.

Si deve osservare che le voci B6 e A1 del conto economico comprendono rispettivamente anche costi per l’acquisto materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci e ricavi delle vendite e delle prestazioni che non sono della stessa natura dei beni conferiti dai soci o dei ricavi delle vendite di prodotti e servizi forniti ai medesimi soci.

Conseguentemente per il calcolo di un rapporto che metta a confronto valori tra loro omogenei i valori al determinatore saranno, nel primo caso, la sommatoria del costo di acquisto di prodotti conferiti dai soci e di quello dei medesimi prodotti acquistati da terzi, escludendo quindi tutti gli altri costi compresi nella voce B6 e, nel secondo caso, la sommatoria del ricavo delle vendite di prodotti e servizi ai soci e di quello dei medesimi prodotti venduti a terzi con esclusione, anche in questo caso, degli eventuali altri ricavi compresi nella voce A1.

Da ultimo si osserva che l’istituto del ristorno, nella quasi totalità dei casi risulta inapplicabile nelle cooperative agricole di conferimento in quanto, come ha affermato anche la Direzione delle Entrate con la circolare n. 37/E del 09/07/03, i ristorni rappresentano quella parte del vantaggio mutualistico attribuita al socio, non già contestualmente al rapporto di scambio con la società cooperativa, ma al termine del periodo di gestione. Tale vantaggio si concretizza quindi con la “restituzione di una parte del prezzo pagato per acquisire beni o servizi, nonché sotto forma di eventuali maggiori compensi per i conferimenti effettuati”:

    Nelle cooperative agricole di conferimento, laddove gli statuti prevedano che la valorizzazione dei prodotti conferiti avvenga al termine dell’esercizio sociale, dopo aver verificato l’andamento dello stesso, non si attribuisce un “valore-base” allo scambio mutualistico e non è, quindi, individuabile “l’eventuale maggior compenso per i conferimenti effettuati”, che corrisponde al ristorno.

    Nel corso dell’esercizio la consegna dei prodotti alla Cooperativa avviene con prezzo da determinare ed ai soci vengono corrisposti acconti periodici secondo quanto stabilito dai regolamenti interni.  Ne consegue che le cooperative agricole di trasformazione che, in forza del dettato statutario e/o regolamentare, definiscono il valore dei prodotti conferiti dai soci alla chiusura dell’esercizio sociale non hanno la possibilità di applicare l’istituto del ristorno ed il vantaggio mutualistico è compreso nel prezzo di liquidazione stabilito in sede di redazione del bilancio che può comprendere anche il risultato della gestione dei prodotti agricoli acquistati, in via non prevalente, da terzi.

    Ovviamente se la cooperativa agricola di trasformazione (come, per esempio, nei comparti cerealicolo o suinicolo), in base allo statuto e/o ai regolamenti interni fissa il prezzo di liquidazione dei prodotti conferiti al momento del conferimento o comunque prima della chiusura dell’esercizio trova applicazione l’istituto del ristorno così come recentemente regolamentato con l’introduzione dei paragrafi 23A e 23B all’OIC 28.

In casi particolari potrà anche essere possibile combinare le due previsioni statutarie - vantaggio mutualistico e ristorni - introducendo in statuto distinte “categorie di soci” in funzione delle specifiche modalità di remunerazione dello scambio mutualistico riconosciute.

 

  Francesco Agresti

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