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Bce, Gardini: «In Italia tassi e inflazione bruciano 693 miliardi. Potere d’acquisto giù di 100 miliardi»

giovedì 27 luglio 2023

Il Focus Censis Confcooperative sugli effetti dell'impennata di tassi d'interesse e inflazione su famiglie e imprese italiane, 1 famiglia su 5 ha saltato almeno una rata del mutuo

Bce, Gardini: «In Italia tassi e inflazione bruciano 693 miliardi. Potere d’acquisto giù di 100 miliardi»

«La BCE sta provando a contrastare l’inflazione e a difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro attraverso l’aumento dei tassi di interesse. Questa politica monetaria, però, rappresenta una tassa sul macinato per famiglie e imprese. L’impennata dei tassi di interesse e l’inflazione hanno bruciato, infatti, 693 miliardi di ricchezza finanziaria delle famiglie. E lo scorso anno il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto di 100 miliardi di euro: almeno 3.800 euro a famiglia su base annua». Lo dice Maurizio Gardini, presidente Confcooperative commentando il focus Censis – Confcooperative “L’Italia fa i conti con i tassi d’interesse”.

L’impatto sarebbe stato molto più pesante senza gli interventi governativi: nelle analisi operate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’ammontare delle misure a favore di famiglie e imprese e di contrasto all’inflazione (riduzione accise sui carburanti, bonus sociali, esoneri contributivi, crediti d’imposta, ecc.) ha raggiunto i 119 miliardi di euro: 5,6 miliardi nel 2021, 70 miliardi nel 2022, 35,1 nel 2023. (Altri 8,2 miliardi avranno corso nel prossimo biennio 2024-2025).

L’esito combinato di inflazione e tassi di interesse si aggiunge alla riduzione in termini reali della ricchezza netta delle famiglie che registrano un saldo tra le consistenze attive e quelle passive inferiore di quasi 700 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente (-14,4%).

Bolletta salata sugli interessi da corrispondere sul debito balzato a 2.817 miliardi di euro (dato a maggio 2023). L’ultimo documento di Economia e Finanza (DEF 2023), prefigura nel quadro tendenziale, per il 2026, una quota di interessi passivi pari al 4,5% del Pil. Ne discende che la spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 miliardi in più rispetto al 2020)-

«Premesse queste – dice Maurizio Gardini presidente di Confcooperative – che rappresentano un fardello pesante per le prospettive di crescita dei prossimi anni con una bolletta che salirebbe fino 100 miliardi di interessi da corrispondere sul debito entro il 2026».

EFFETTI SULL’ACCESSO AL CREDITO DELLE FAMIGLIE: Sono notevoli i cambiamenti nei comportamenti di spesa delle famiglie alla luce dell’aumento dei tassi d’interesse. Questi ultimi hanno avuto un incremento superiore ai 200 punti base nel caso delle nuove operazioni per acquisto di abitazioni e di oltre 300 punti nel caso di nuove operazioni di finanziamento delle imprese. In sostanza, il tasso medio sul totale dei prestiti è passato dal 2,21% di giugno 2022 al 4,25% di giugno di quest’anno, sempre a seguito dei continui rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Bce negli ultimi 12 mesi.

L’inflazione, dopo la pandemia, le strozzature sul lato dell’offerta di beni, la tempesta dei prezzi sulle fonti di approvvigionamento per molti paesi, hanno rappresentato il principale fattore di incertezza in questi mesi. Al temporaneo superamento dell’emergenza “bollette” si è affiancato il preoccupante rincaro di tutto ciò che si presenta come spesa difficilmente sostituibile come la spesa alimentare. In termini reali fra il 2021 e il 2022 la diminuzione del potere d’acquisto, corretta con l’inflazione passata, è superiore ai sette punti percentuali. In termini assoluti, il reddito lordo disponibile delle famiglie si riduce di ben 100 miliardi di euro, in media almeno 3.800 euro a famiglia.

GLI EFFETTI SUL MERCATO IMMOBILIARE: Il clima avverso rispetto alle decisioni di acquisto e di investimento da parte delle famiglie è confermato dall’andamento del mercato immobiliare in Italia. Secondo i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato, rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati. In generale, per quanto riguarda i fabbricati abitativi il ridimensionamento delle decisioni di acquisto si attesta intorno all’11%. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro.

Da questa prospettiva occorre ricordare che in Italia, su un totale di 25 milioni e 600 mila famiglie, 18,2 milioni sono proprietarie dell’abitazione in cui vivono (il 70,8%, dati al 2021). Di queste, al momento, 3,3 milioni di famiglie (il 12,8% sul totale) sono impegnate con un mutuo da pagare e, all’interno di questa componente, circa 700 mila hanno già mostrato difficoltà, ritardando il pagamento di almeno una rata mensile.

GLI EFFETTI SULLE IMPRESE E SULLA CRESCITA: Le imprese stanno incontrando nuove difficoltà nell’accesso al credito, sebbene ancora in maniera contenuta. A marzo di quest’anno, rispetto a marzo dello scorso anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero si sono ridotti dell’1,5% e nelle costruzioni dell’1,3%. Più ampia è la differenza che separa l’accesso al credito delle piccole imprese da quello delle imprese medio-grandi: per queste ultime la riduzione nel periodo è stato di sei decimi di punto, mentre per le prime ha raggiunto il 4,4%. Nel 2022, i dati di confronto con l’anno precedente indicano una situazione ancora non particolarmente definita: i prestiti erogati da società finanziarie, ad esempio, erano cresciuti del 5,1%, ed anche nel 2023 questi operatori hanno continuato a mantenere una variazione positiva nell’erogazione dei prestiti alle imprese.

Sul piano dimensionale si osserva anche una differente applicazione dei tassi di interesse rispetto a diverse tipologie di impresa. Fra le imprese rischiose, nel 2022, la differenza fra i tassi applicati a una microimpresa e quelli applicati a una grande impresa supera i due punti e mezzo percentuali (6,5% per le prime, 3,9% per le seconde); mentre fra le imprese “sane”, lo spread a scapito delle più piccole risulta pari a 3,7 punti.

  Laura Viviani

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