Reggio Emilia, cancellare il massimo ribasso dagli appalti
“Il caso scoppiato nell’area delle ceramiche sul trasporto scolastico è l’ennesima dimostrazione dei danni che provoca ad amministrazioni pubbliche e cittadini la diffusa pratica delle gare al massimo ribasso che connota tanta parte degli affidamenti di opere e servizi pubblici, spesso avulsi da criteri di qualità e inaccessibili per le aziende che operano nel rispetto delle regole e hanno radici locali che consentono un controllo collettivo – e non solo da parte della stazione appaltante – su elementi quali affidabilità, continuità di lavoro, organizzazione interna, solidità”.
A sostenerlo è Confcooperative Reggio Emilia, secondo la quale “l’episodio andrà accertato nella sua gravità dalle autorità competenti, ma è emblematico di un sistema che, in nome di un presunto risparmio, penalizza le imprese e i lavoratori, con ripercussioni pesanti sulla stessa qualità di opere e servizi e, non di rado, con aggravi economici legati a mancati completamenti di strutture e a integrazioni necessarie per assicurare servizi ai cittadini”.
Secondo Confcooperative vi sono due fronti aperti da tempo su “un sistema apparentemente trasparente ma, in realtà, capace di indurre irregolarità, di non sanzionarle a sufficienza e di penalizzare il lavoro e le imprese locali”.
Il primo tema – spiega Confcooperative – è il criterio del massimo ribasso, che deve essere cancellato dall’agenda di amministratori pubblici chiamati a realizzare opere e a gestire servizi di interesse collettivo, talvolta estremamente delicati per l’impatto che hanno su cittadini, famiglie e categorie deboli.
“Su questo piano – osserva la centrale cooperativa di Largo Gerra – abbiamo registrato anche segnali positivi, ma continuano ad essere troppi i bandi che, direttamente o indirettamente, fanno esclusivamente leva sul prezzo e, conseguentemente, aprono le porte a possibili irregolarità sul lavoro (quasi sempre legate al mancato rispetto di contratti collettivi), sulla sicurezza e sui materiali impiegati nelle opere, causando disservizi, interruzione delle prestazioni e danni che si scaricano sui cittadini e sulle imprese virtuose, espulse da una simile competizione”.
La seconda questione – osserva Confcooperative - è meno legata alle scelte delle amministrazioni pubbliche locali, ma ugualmente richiede il loro impegno, oltre che quello della politica, per rivedere sistemi di appalto che, in nome di una presunta trasparenza, in realtà affidano i lavori con metodi discrezionali a fronte di regole non chiare e, soprattutto, senza un nesso tra opere pubbliche locali e le migliori espressioni dell’imprenditoria del territorio.
“Un’imprenditoria – aggiunge Confcooperative – della quale si possono certamente valutare più congruamente la storia, le capacità, l’affidabilità e le ricadute in termini di lavoro, evitando anche le possibili difformità tra contenuti delle gare e quanto effettivamente realizzato”.
“Criteri – sottolinea la centrale cooperativa – che hanno prima di tutto a che fare con un buon senso che non sta in capo alle norme, ma piuttosto a chi, ad ogni livello, le determina e le applica ed è chiamato certamente a tutelarsi, ma prima di tutto a rispondere di beni comuni che temporaneamente amministra”. “Chiediamo – conclude Confcooperative – un’azione urgente in questo senso, perché anche la nuova stagione di co-progettazione che sembra aprirsi tra pubblico e privato deve spingersi a definire queste modalità di collaborazione e non solo i macro obiettivi”.