Confcooperative e Federcasse, regole Mef frenano ricambio di genere e generazionale nelle banche
Il Decreto 169/2020 del Mef su i nuovi requisiti e criteri di idoneità degli esponenti bancari non applica in modo strutturato i fondamentali princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, accelera processi di omologazione e determina paradossali effetti di conservazione. Le nuove regole ostacolano infatti il rinnovamento degli organi sociali e, di conseguenza, l’auspicato incremento della diversità sia di genere sia di profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani.
Questa, in sintesi, la posizione del consiglio nazionale di Federcasse, la Federazione Italiana delle BCC-Casse Rurali, e di Confcooperative dopo l'esamine dell’atteso Decreto del MEF. Federcasse e Confcooperative condividono pienamente l’obiettivo sostanziale dei legislatori, europeo e nazionale, di puntare sulla costante qualificazione del governo societario nell’industria bancaria dell’Unione. Non condividono, però, l’approccio, ancora una volta solo parzialmente (o incidentalmente) improntato ai princìpi di proporzionalità e di adeguatezza, fondamentali e costitutivi dell’Unione europea. Eccesso di rigidità.
Pur riconoscendo che il DM 169/2020 esclude opportunamente le BCC-CR dalla classe delle “banche maggiori” e che alcune delle proposte formulate da Federcasse e Confcooperative - sia in occasione della consultazione pubblica del 2017 sia successivamente - sono state accolte attenuando inopportune rigidità e la “non-proporzionalità” complessiva dell’impianto, il regolamento del MEF disegna tuttavia un sistema di selezione degli amministratori rigido, a maglie strettissime e con effetti paradossalmente conservativi per le piccole banche e, tra queste, soprattutto per le BCC. Il Decreto del MEF presenta problematiche soprattutto nelle parti dei requisiti di professionalità e competenza. Determina difficoltà nel reperire soci dotati dei profili richiesti per la candidabilità.
Le BCC-CR, pur rientrando anche secondo il Decreto 169/2020 pressoché tutte nella classe delle banche “piccole e non complesse” (con attivo pari o inferiore a 5 miliardi di euro), debbono da ora in poi selezionare candidati con profili più tipicamente adeguati a grandi banche e gruppi quotati. Ma altre norme relative alla mutualità, loro caratteristica distintiva, impongono invece che esse scelgano i propri amministratori tra i soci i quali sono prevalentemente imprenditori, professionisti, artigiani, agricoltori, commercianti, lavoratori, insegnanti con adeguata esperienza e opportunamente e continuativamente formati.
Profili professionali e democrazia. Le BCC-CR si caratterizzano proprio per il localismo e la governance democratica (come stabiliscono chiaramente il TUB e le Disposizioni di Vigilanza) e selezionano i candidati-amministratori tra i soci e le socie. Il connotato del localismo comporta che le BCC abbiano una operatività circoscritta per legge ai territori di insediamento, che non siano necessariamente tutte collocate nelle grandi città e nelle piazze finanziarie, ma piuttosto nei distretti produttivi di natura industriale, artigianale, agricola, commerciale.
Effetti paradossalmente conservativi. I soci delle BCC-CR – oltre 1 milione e 330 mila - sono dunque espressione dei «produttori» e non della professione dei banchieri e dei grandi operatori finanziari, profili professionali ai quali il DM MEF 169/2020 fa prevalentemente riferimento quando stabilisce i requisiti di professionalità e di competenza degli esponenti. Tutto ciò genera un effetto di sostanziale “congelamento” della classe dirigente, ostacolando il rinnovamento degli organi sociali, il necessario incremento della diversità sia di genere sia dei profili professionali e l’indispensabile turn over con l’ingresso di amministratori giovani (dotati di requisiti di esperienza difficilmente adeguati ad un board di un gruppo bancario cross-border, ma sovradimensionati rispetto al Consiglio di amministrazione di una banca di comunità con finalità mutualistiche).
Omologazione di fatto, difesa della biodiversità bancaria a parole. Le banche di comunità e in generale le piccole banche – se ben gestite e sufficientemente redditizie – costituiscono un indispensabile fattore di stabilità finanziaria e di libertà imprenditoriale. Ma anche di funzione sociale. Basti ricordare gli effetti in termini di coesione sociale dell’attività delle BCC-CR. La loro crescente funzione di riduzione delle disuguaglianze dei redditi (confermata dalla letteratura internazionale più recente) e di argine ai fenomeni di spopolamento è una dimensione dell’impresa bancaria mutualistica riconosciuta e tutelata dalla Costituzione, ma trascurata dalle norme ordinarie o dai regolamenti. In 660 Comuni italiani l’unica presenza bancaria è quella di una BCC-CR e il 90% di quei Comuni hanno meno di 5 mila abitanti.
Margini di flessibilità non utilizzati. Spiace dunque che il legislatore nazionale non abbia ritenuto di muoversi utilizzando gli opportuni e adeguati margini di flessibilità e discrezionalità previsti e consentiti dalle direttive europee (in questo caso la CRD4). E che non abbia adeguatamente tenuto in conto la semplicità gestionale delle piccole banche (che lo stesso DM definisce «piccole e non complesse»), accostandole di fatto, per molti aspetti, alla complessità imprenditoriale, manageriale e organizzativa di una grande o grandissima banca quotata in Borsa.
In prospettiva è urgente e necessario integrare nel DM 169/2020 con convinzione i principi di proporzionalità e adeguatezza con un approccio strutturale e non di eccezione. Correzione indispensabile in Italia in considerazione della struttura produttiva distintiva del Paese e della conseguente morfologia dell’industria bancaria. Sarà utile anche il confronto con gli omologhi provvedimenti adottati da altri Governi dell’Unione Europea.