Confcooperative Sanità, Milanese confermato alla presidenza, da assistenza sanitaria almeno 100mila nuovi posti
Si cura solo chi può pagare «Nel 2021 metà delle famiglie italiane hanno rinunciato a prestazioni sanitarie e cure per problemi economici, indisponibilità del servizio e inadeguatezza dell'offerta. E nel 13,9% dei casi le rinunce sono state rilevanti». Giuseppe Milanese riconfermato alla presidenza di “Confcooperative – Sanità” dall’assemblea nazionale in svolgimento a Roma richiama l’attenzione sulle difficoltà degli italiani a curarsi, così come emerso nel bilancio di Welfare delle famiglie italiane fotografato dal Cerved. I due anni e mezzo di Covid hanno aggravato un processo già evidente, ma peggiorato dalla condizione di povertà in cui versano 10 milioni di italiani, tra povertà assoluta e relativa.
«Questi numeri tracciano in modo drammatico la mappa della diseguaglianza di un Paese – dice Milanese – in cui riesce a curarsi solo chi può pagare. Come cittadini e come cooperatori non vogliamo una sanità solo per chi se la può permettere. Le cooperative, in via sussidiaria, possono indicare una terza via creando un articolato sistema multiprofessionale sul territorio grazie al network di medici, farmacisti, professionisti della salute e mutue sanitarie».
L’ospedale da solo non basta «A oltre quarant’anni dalla sua istituzione il SSN sta vivendo una crisi senza precedenti. Il risultato è l’intasamento delle strutture ospedaliere dove un ricovero costa non meno di 700 – 800 euro al giorno. Con gli stessi soldi – sottolinea Milanese – si potrebbero assistere, quotidianamente, 10 persone fuori dall’ospedale. Con 15-20 ore al mese di assistenza domiciliare potremmo da un lato rafforzare la rete dei servizi dall’altra creare 100.000 nuovi posti di lavoro».
PNRR per riorganizzare SSN «Il PNRR è una straordinaria opportunità per riscrivere e riorganizzare il Servizio Sanitario Nazionale. Ben 8 italiani su 10 ritengono, secondo il Censis, che la spesa pubblica in sanità sia un investimento da non sprecare: ospedali, sanità territoriale, personale e ammodernamento dei macchinari le prime voci su cui interventire. È sul territorio che va costruita la risposta: un sistema di assistenza primaria, una rete complessa e capillare in grado di prendere in carico direttamente nel cuore della comunità il bisogno assistenziale dei cittadini, concentrando sull’ospedale solo cure e interventi più importanti».
Non è una questione di spesa, ma di riorganizzare i servizi in un paese che cambia e che invecchia: Nel Rapporto BES ISTAT 2022 emerge chiaramente che i due anni della pandemia hanno messo a dura prova il benessere della popolazione. Quasi la metà degli anziani è in cattive condizioni di salute. In Italia le persone che hanno compiuto 75 anni sono oltre 7 milioni (erano circa 5 milioni 900 mila nel 2010), pari all’11,9% del totale della popolazione. Quasi 1 su 2 (il 47,8%) è multicronico, soffre di tre o più patologie croniche, o ha gravi limitazioni nel compiere le attività che le persone abitualmente svolgono. Tale quota è più elevata per chi vive nel Mezzogiorno (55,2% rispetto al 44,1% nel Nord e al 45,2% nel Centro) e tra le donne (52,4% rispetto al 40,9% tra gli uomini) e raggiunge il 59,4% tra le persone di 85 anni e più (rispetto al 38,8% delle persone di 75-79 anni).
Il ritardo nella gestione della non autosufficienza «I posti letto per anziani non autosufficienti nelle strutture residenziali e semiresidenziali sono meno di 300mila, solo 1/3 rispetto alla Francia e 1/4 rispetto alla Germania. Una situazione che è destinata a peggiorare nei prossimi anni con un ritmo stimato di 10.000 posti letto ogni anno. Appare profonda – continua Milanese – poi la spaccatura geografica del Paese: il 67% delle residenze sociosanitarie sono al Nord, solo l’8% al Sud, dove molti servizi di welfare vengono erogati direttamente dalle famiglie, ma non basta a far fronte alla domanda. È su questi squilibri che dobbiamo intervenire. Non spendendo di più – conclude Milanese – ma spendendo meglio».